Trapianti, il primo bambino trapiantato di cuore in Italia

Pubblicato sul Settimanale “Vero”

Ivan sembra un giovane qualunque: un lavoro, una casa, una compagna, (da poco anche una bellissima bambina ndr), la passione per la tecnologia. Se non fosse che il suo nome è scritto negli annuari mondiali di cardiochirurgia: è stato il primo bambino al mondo ad aver subito un doppio trapianto di cuore. E il primo bimbo italiano nel cui corpo ha battuto il cuore di un donatore.

Era il febbraio del 1986, più di trent’ anni fa, quando all’ospedale “Bambin Gesù” di Roma si tentava, per la prima volta in Italia, il trapianto di cuore su un bambino di appena quattordici mesi. “Pesava 10 chili”, ricorda Francesco Parisi, direttore dell’Unità di chirurgia toracica del Bambino Gesù che fece parte dell’ equipe guidata dal professor Marcelletti che operò Ivan.  “Da allora abbiamo fatto 231 trapianti di cuore”. I passi avanti compiuti in trenta anni sono stati enormi, commenta, “si è passati da una sopravvivenza del 65% a 5 anni dall’intervento, a una sopravvivenza del 90%

Ivan era nato sano poi, appena compiuto un anno, aveva cominciato a sentirsi male. Cardiomiopatia dilatativa, insufficienza cardiaca irreversibile: così avevano sentenziato i medici, poi avvenne il miracolo di un cuore nuovo. Il cuore che  la prima volta ha ridato la vita ad Ivan arrivava dall’Austria, era di una bambina.  Sei anni dopo, nel ’92, è tutto più difficile. Ivan inizia ad accusare malori, fastidi, attacchi di tachicardia. Lui, che era sempre stato un bambino vivace, pieno di vita, improvvisamente aveva smesso di mangiare, respirava male, non aveva più neanche la forza per giocare nel cortile di casa sua. Anche in questo caso i medici erano stati chiari: la speranza, era soltanto quella di trovare un nuovo donatore. Una speranza che questa volta si chiama Ervin, un bambino di Trento morto per un’emorragia cerebrale quando aveva appena dieci anni. Ed eccolo qui, a distanza di più di trent’ anni, l’ uomo con tre cuori. Ci racconta come sta in una bella mattina sul pontile di Ostia, dove vive.

“Sono nato in quell’ ospedale lì.” Indica “dalle finestre si vede il mare.” Ospedali, luoghi in cui ha passato tanta parta della sua vita, è stato condizionante? “Ho sempre cercato di fare una vita normale, di non lasciarmi condizionare. Da sempre e ancora oggi devo fare controlli periodici, è una routine, anzi, dopo trent’ anni, ci sono volte che non avrei proprio voglia di andarci..pero’ mi tocca.”

Ci pensi che dentro di te batte il cuore di un altro?

“Non penso mai a quello che mi differenzia dagli altri. Io sono un tipo che guarda sempre avanti, vivo il momento, quando è passato lo resetto. Preferisco non pensare a tutto quello che ho passato e guardare sempre avanti.”

E cosa vedi davanti a te?

“Intanto sono felice della mia vita, sono contento degli obbiettivi che ho raggiunto: il mio lavoro, la mia compagna, con cui ci amiamo da dieci anni, la nostra casa. Per noi trapiantati, trovare lavoro è un po’ più difficile, perché possiamo fare solo lavori sedentari, e in un momento com’è questo non è facile per nessuno. Quindi già questo mi rende orgoglioso. Insomma, faccio una vita normalissima. È quello che ho sempre voluto.”

Hai rapporti con i famigliari dei tuoi donatori?

Con la famiglia della bambina che ha donato il cuore del primo trapianto no. Quando ero molto piccolo però, abbiamo conosciuto il nonno.

E con la famiglia del secondo donatore?

Si. Si è creato un rapporto di amicizia con la mamma, Rita. E’ quasi una seconda mamma per me, e lei mi tratta come un figlio. Io sono andato a casa loro, e ho dormito nella stanza che era di loro figlio. E’ stato un rapporto nato in modo naturale: non c’ è mai stato bisogno di parole. Io non ho mai dovuto dire ‘grazie’, anche se il sentimento di gratitudine lo provo, e lei non mi ha mai detto: ‘tu hai il cuore di mio figlio.’

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Ora sono l’ uomo con il cuore a tracolla

 

Pubblicato su Visto 

Il protagonista di questa storia si chiama Liu, è un cinese di 44 anni, da dieci in Italia. Passeggia per i corridoi dell’ ospedale San Camillo di Roma e abbozza un sorriso, in cui si legge sollievo e gratitudine. Viene avanti appoggiandosi al fratello (appena sbarcato dalla Corea del Sud, dove vive, per stargli vicino), in pigiama, con due borsette a tracolla. In quelle borsette inseparabili Liu Jing, tiene il suo cuore. O meglio, le batterie  dei sofisticati apparecchi che lo sostituiscono. “Senza un cuore nuovo questo paziente era spacciato” spiega il professor Francesco Musumeci, 56 anni, co-protagonista di questa e di molte altre storie a lieto fine, nel corso della sua brillante carriera. Musumeci é primario del reparto di cardiochirurgia dell’ azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini  di Roma e, insieme alla sua equipe, é stato lui, con un’ operazione finora unica in Italia, a ridare il sorriso al suo paziente. E così, Jing, è diventato il primo uomo ‘senza cuore’ in Italia. ” Il suo cuore è stato svuotato e ormai  é solo una sacca inerte su cui poggiano due piccole pompe del peso di 150 grammi ognuna, che funzionano come fossero ventricoli: mandano il sangue verso i polmoni per ossigenarlo e poi lo riprendono.” spiega il medico. L’ operazione, è la prima del genere in Italia e una delle poche al mondo “Le due ‘borsette’ che si porta appresso il paziente sono le batterie dei due ‘heartweare’ (così si chiamano le valvole artificiali n.d.r.). Finora, nel nostro paese, erano state innestate solo singole valvole, ma questa volta era necessario andare oltre.” dice il cardiochirurgo.  “Da mesi, in attesa del trapianto, ero costretto a letto. Avevo paura, non vivevo piu’ e ora invece…grazie” racconta Jing che l’ italiano lo parla poco ma si fa aiutare da un amico. Quarantaquattro anni, fisico minuto, sguardo attento, una vita da migrante “Quando ero piccolo mi sono trasferito con la mia famiglia in Corea del Sud. Poi, dieci anni fa, ho deciso di lasciare i miei cari e di venire qui in Italia.” Jing sbarca nel nostro paese con le speranze che si porta dietro chi rivendica con volontà e determinazione il diritto a una vita migliore. “Sono arrivato a Roma con tanti sogni e qualcuno sono riuscito a realizzarlo”, racconta , “All’ inizio è stata dura, ma lavorando sodo, le cose sono presto migliorate. Io sono un cuoco e  dopo tanta fatica, ora gestisco un mio ristorante. Abito in zona Esquilino con mia moglie e fino a che non mi sono ammalato, la mia vita scorreva serena” Il suo cuore, alleato prezioso nell’ affrontare le difficoltà di ambientazione in un paese straniero, all’ improvviso è impazzito e tutta la determinazione di Jing, non é bastata, da sola, per combattere quel nuovo nemico. “Voelvo solo continuare la mia vita ma non potevo fare niente e questo mi angosciava.Amo il mio lavoro e mi è pesato molto non poterlo fare, nelle lunghe giornate in cui il mio cuore malato mi ha costretto a rimanere immobile.” Quel cuore ‘matto’, ora non batte piu’, ma nelle vene di Jing il sangue scorre regolare grazie ad un vero miracolo della scienza e della tecnologia “quest’ intervento era l’ unica soluzione per ridargli una vita normale” spiega il professor Musumeci.” “Abbiamo proceduto a quest’ operazione perché non avevamo altra scelta: organi disponibili per il trapiantonon ce n’erano e il paziente non poteva piu’ aspettare.” “Queste piccole turbine che ora lavorano per mantenere in vita Jing, in teoria, dovrebbero essere una misura di passaggio in attesa del trapianto. In realtà, data la terribile carenza di organi, possono essere considerate una valida alternativa al trapianto stesso.” dice Musumeci, orgoglioso del suo lavoro e di quello di tutta la sua squadra “L’ operazione sul signor Jing è riuscita, come sempre, grazie al buon lavoro di tutti. Venti persone, prima e durante l’ operazione, durata quattro ore hanno lavorato sul paziente”, sottolinea il cardiochirurgo.  “Voglio ringraziare tutti quanti. Grazie, mi avete salvato la vita”. dice il cinese, mentre continua a sorridere. Tra qualche giorno verrà dimesso e potrà anche tornare a lavorare. “Non vedo l’ ora di ricominciare.” e si illumina al solo pensiero. “Finalmente non ho piu’ paura.” dice, rasserenato,  “Prima, quando stavo male,non facevo altro che pensare al peggio. Sentivo che la vita mi stava sfuggendo vivevo nell’ angoscia, ma ora è tutto diverso” dice ‘l’ uomo senza cuore’,  consapevole di aver riafferrato la vita grazie a due valvole grandi come mezzo pacchetto di sigarette e alla fortuna di essersi imbattuto nella parte migliore della sanità pubblica italiana.